giovedì 18 aprile 2013

Las Americas

http://www.ilcaffevitruviano.it/cultura/letteratura/item/1741-las-americas.html

Recensione di Regina Re

"Las Americas" è la realtà di un sogno chiamato America, il sogno di Giò che si materializza in un viaggio senza una vera e propria meta: "In qualche modo in un posto chiamato America io ci ero arrivato, anche se il nome aveva una consonante in più, la s. Esse come selvaggio, quello che in qualche modo ero io nei miei vent'anni."
Giò, il "mago dell'ozio", "la messa a terra che scarica tutto nel sottosuolo", Giò che non passa mai inosservato ma che osserva i particolari senza parlare. Giò, il poeta vagabondo che si interroga sul senso della vita: "E oggi più che mai, più che esseri viventi stiamo sembrando dei con-viventi comuni."
L'autore Giovanni Favazza dà voce ai suoi vent'anni, alle sue poesie, alla sua musica, alla voglia di libertà, un sogno che Giò rincorre come un randagio sulla strada, un randagio che segue solo il suo istinto ma che non può fare a meno di trovare una pensione senza stelle, di tanto in tanto, e di mischiarsi ad una folla che lo infastidisce perché "Per stare a galla avevo bisogno di stare con me stesso."
Il suo sogno gli fa compagnia, viaggia da sé poiché "se nel sogno ci metti anche la convinzione sei finito, non ti rimane più niente di quello che è veramente tuo".
Giò è il "matto saggio", spesso alle prese con "scemi ragionati" : "Io non mi credevo né un dio e né niente, cercavo solo di non affondare, e basta. Io non avevo nessuna legge...io ci convivevo con la morte, l'avevo incontrata un giorno, e mi ha seguito lungo la strada".
La sua è una strada che ha un verso, una musica di rabbia e note di pazzia, pause di insicurezza che si intervallano al ritmo magico di una chitarra amica. Intorno una folla che segue con avara passione.
Giò cerca di non farsi inghiottire dalle circostanze, andare oltre e vivere al meglio l'esistenza e: "Quando io ho avuto una lira ho brindato quasi sempre a qualcosa". Le circostanze sono le convenzioni che ci convincono, confondono, su cosa vogliamo e cosa non vogliamo veramente: "La massa non fa altro che sprecare tutto, per prima cosa spreca se stessa, solo spreco. Un'insignificante Merda, tutto per morire mentre si è ancora vivi. Tutto uno spreco, vanità su vanità." La massa è repressione di devi, non devi, non puoi, potresti, puoi: "Questa sfera non sferica che galleggia nell'universo senza alcun senso, solo per dare vita e toglierla". L'uomo a volte è costretto a sopportare un'inconcepibile esistenza:"Gli animali sì che se la godono la vita. L'uomo invece è un essere così noioso" che spesso è convinto di avere la mente aperta, così aperta che non sa più come chiuderla. Così la gente si sposta e si porta dietro il suo Paese di convinzioni limitanti in altri Paesi senza confini. Giò invece la sua vita la insegue, la cerca, la vuole vivere ma non la tiene al guinzaglio. La vita è come un gatto e lui si sdraia, apre la sua bottiglia di whisky e aspetta che questa vita gli arrivi addosso. L'autore ce la sbatte sul tavolo come una bistecca appena tagliata, nuda e cruda ma condita con le spezie del sesso, della droga, con la piccante ironia di questo personaggio che sembra avere un angolo di palcoscenico su ogni marciapiede, metropolitana, treno preso e perso. Treni notturni, dove una tessera ferroviaria è un lasciapassare per il vero viaggio, un trip breve e infinito, nel luogo e nel tempo di uno scompartimento di prima classe con un cartello: "più sballato di così non saprei". E gli altri chi sono? "Sono sempre stati un incontro che deve durare poco. Del resto, siamo soli." Amici, occasionali spesso, e spesso non parlano la nostra lingua. Ma Giò ha il suo passepartout: " E la lingua mi funzionò meglio dentro la sua bocca, fra quella sua, proprio perché parlavamo un'altra lingua". Sulla strada non siamo soli del tutto. C'è un sempre un Dio impegnato a giocare a scacchi, a Poker, a tresette e al gioco della bottiglia "con un sigaro magico in mano e un bicchiere senza fondo di vino rosso e ci scrolla la cenere addosso". Come l'uomo che "non resiste al peso della croce e se la scrolla di dosso", così l'attenzione di Dio è la cenere della felicità interiore.
E allora, a volte, "capitava che qualche cosa di veramente vivo succedesse!"

Domanda: "Da dove vieni?"
Risposta: "Dalla disperazione"
Domanda: "Ma come fai a scrivere così tanto?"
Risposta: "Perché io scrivendo vivo"



('Las Americas', di Giovanni Favazza, Edizioni Amande)



"Che sarà mai una pagina dello scrittore?" Semplicemente una pagina dove leggerlo e dove poter ordinare il suo libro:

https://www.facebook.com/GiovanniFavazzaCheSaraMaiUnaPaginaDelloScrittore

Nessun commento:

Posta un commento