sabato 29 ottobre 2011

dal mio romanzo: Las Americas

Dal mio romanzo: Las Americas
Ora ero veramente senza una lira, dovevo darmi da fare per sopravvivere. L’idea di fare colletta per tutto il giorno l’avevo scartata prima ancora che partissi da Adrano, infatti mi ero portato dietro la chitarra apposta per questa evenienza, e non certo solo per farmi una suonatina con il primo musicista che avessi incontrato. Sapevo benissimo che in fondo non volevo trovarmi un posto di lavoro. Me n’ero andato in giro anche per questo. Aldilà di trovare nuove emozioni avevo bisogno di allontanarmi dalle modalità di lavoro del sistema. Avevo bisogno di allontanarmi dalla consuetudine, di maturare il mio modo, e tirare fuori tutto quello che avevo nascosto dentro. Scrutando bene tutti i dintorni scoprii alcuni punti strategici dove potermi sistemare per suonare la chitarra e fare qualche lira, e fra questi, uno in particolare, il migliore, nel sotto passaggio della metropolitana. La prima volta che andai in quel posto con l’intenzione di suonare trovai già qualcun altro che stava suonando, ma scrutando il posto a fondo, vidi che ogni tanto veniva qualche guardia e mandava via chi suonava. Ma la cosa che capii, o almeno che mi feci convinto di capire, fu quella che le guardie mandavano via quelli che più che musica facevano una frittura. Io con la chitarra avevo poca dimestichezza, ma sentivo dentro di me che potevo riuscire a fare qualcosa se non d’eccezionale ma d’originale. Essendo un autodidatta e, anche un compositore, mi preparai qualche pezzo strumentale con i pochissimi accordi che sapevo prendere nella chitarra, che faceva pensare a tutto tranne che ad una frittura. Tuttavia mi serviva ancora lo stimolo per affrontare la cosa. Una sera dissi ad Iguana se conosceva Squalo. (A questi tipi piaceva farsi chiamare con nomi stravaganti) Lui fu sorpreso dalla mia domanda, mi raccontò che aveva passato delle belle storie con Squalo, e che ora se la faceva in Piazza Navona. “Perché mi hai chiesto di Squalo?” disse poi. “Vedi, Squalo mi aveva fatto conoscere un tizio che mi ha venduto un bel po’ di trip, e questo tizio, da quando sono qui, non l’ho affatto incontrato.” “Ma questo tizio è per caso un olandese?” “Si, alto, biondo.” “Ho capito chi è, si fa chiamare Hoffmann, ma ora non è a Roma, è andato a Rotterdam, a prendere altri trip… ma ti serve qualche trip?” “Be’.” “Io so dove procurarli.” “Si, però, vedi, al momento ho solo diecimila lire…” “Ce ne metto altri cinque io e ne prendiamo due.” “Una favola.” Dopodiché andammo in Piazza Navona. Più tardi incontrammo il nostro uomo. Dopo esserci messi i trip in bocca Iguana ed io salutammo il tizio e tornammo in Piazza di Spagna. Passammo buona parte della notte insieme, sotto l’effetto del trip. Scoprii che Iguana era molto spiritoso ma anche parecchio pieno di se. Nella mattinata ci lasciammo. Andai a sdraiarmi su un muretto della gradinata con l’intenzione di rilassarmi fino a quando avrei deciso di andare a fare la mia prima suonata con la chitarra davanti a tanti passanti, e con l’intenzione di guadagnare qualche lira. Non mi misi nel posto strategico del sottopassaggio, avevo il dubbio di trovarci già qualcun altro. Mi misi all’uscita della metropolitana. Appena tirai fuori la chitarra dalla custodia si avvicinò un agente chiedendomi quali intenzioni avessi. Gli spiegai che non ero uno di quelli che maciullava i cervelli con la musica, e aggiunsi che non avevo affatto intenzione di disturbare la quiete pubblica. L’agente mi diede una possibilità, e io cercai di sfruttarla al meglio. Cominciai a suonare leggermente… intanto la gente passava indifferente… man mano andavo aumentando il ritmo, improvvisavo qualche pennata in contro tempo… poi il trip mi diede l’azione e fra la mia mente e la chitarra si venne a creare una specie di simbiosi che tirò fuori una musica spaventosamente spirituale. Suonai per circa una mezzora, con gli occhi chiusi e la testa abbassata verso il suolo, senza fermarmi un attimo. Quando mi fermai avevo ancora il sangue che mi pulsava nelle vene come un dannato. Sentii delle mani applaudire. Aprendo gli occhi vidi, fermi davanti a me, un bel po’ di gente. Feci uno dei miei sorrisi da extraterrestre, poi tirai fuori una sigaretta, e mentre l’accesi, ogni uno di loro mise la sua offerta in lire sulla custodia della chitarra stesa davanti a me. Fumando osservai i soldi sopra la custodia, erano più o meno ventimila lire. Potevo anche smettere di suonare, ma la cosa mi aveva preso gusto, anche se pensavo che il prossimo pezzo non avrebbe avuto la stessa grinta del primo. Tuttavia, quando ero inoltrato nel prossimo pezzo, dovetti ricredermi, perché mi venne fuori qualcosa di magico, d’assurdo. Per la prima volta stavo godendo di un piacere saziante, anzi, quasi stravaccante. (Se qualcuno sta pensando che sto esagerando è fuori strada, perché io ho provato veramente questa sensazione, forse grazie al trip, ma l’ho provata, e penso che l’importante sia questo. Poi tutto il resto non è altro che un aspettare che qualcuno ce la dia; la vita, la fica, l’idea, la voglia, o la forza.). Appena staccai sentii dall’alto una voce femminile urlare: “Bravo, bravo, grande, questa sì che è musica!” (roba che io me n’andai con la mente molto più in alto) Incredulo alzai lo sguardo verso l’alto. “Bravo, grande.” Vidi qualcuno gesticolare da una finestra, focalizzai, era una donna, le feci un sorriso. “Sei grande, mi hai anche fatto passare il mal di testa che mi perseguitava da questa mattina. Ecco prendi.” Da quella finestra lasciò cadere qualcosa. Solo quando arrivò a terra scoprii che si trattava di una bella banconota da diecimila stretta ad una molletta. Mandai un bacio alla donna, presi i soldi, li misi in tasca, mi accesi una sigaretta, raccolsi anche gli altri soldi sopra la custodia, v’infilai dentro la chitarra, e me n’andai. In tutto avevo guadagnato trentacinque mila lire, non male per un principiante, la vita da vagabondo si prospettava molto interessante. Dio, finalmente, stava prendendomi davvero sul serio. Nella serata ero appoggiato su un muretto della scalinata e stavo pensando… (alle stranezze della vita? No. All’esistenza di Dio? Nemmeno. Ai miei cari? Affatto. Ai miei compagni? Ma che) ad una bella scopata, mentre sorseggiavo del vino bianco. Era un bel po’ che non toccavo una donna, stavo quasi inoltrandomi nella strada per divenire filosofo, ma il pensiero ammaliziato già dall’infanzia è sempre tornato nel suo peccato. Osservando giù per la scalinata vidi Luana in mezzo ad un gruppo di fricchettoni, tra i quali c’era anche Iguana. Non avevo tanta voglia di andare tra loro e inventarmi chissà che, quindi rimasi dov’ero, con l’uccello smanioso. La fortuna aiuta sempre gli audaci, e io non sono mai stato un audace, quindi, dopo un po’, decisi di andarmi a sedere nel muretto accanto a loro. “Sempre con la bottiglia in mano tu, eh Giò!” “Già.” Gli altri mi osservarono con curiosità. “Mi dai un sorso?” aggiunse Iguana. Gli passai la bottiglia, lui fece un sorso, e quando stava per ripassarmela qualcuno del gruppo chiese se poteva fare un sorso. Io annuii. Poi venne il turno di un altro, e di un altro ancora, fino a quando non arrivò quello di Luana. Quando Luana mi passò la bottiglia la osservai negli occhi come per farle capire cosa volevo. Poi spostai lo sguardo su Iguana che si alzò di scatto come se vide qualcosa o qualcuno che doveva incontrare, o dalla quale doveva scappare, e scese i gradini saltando. Poi sparì fra la folla. Feci un altro sorso di vino e nello stesso tempo anche i fricchettoni si alzarono e se n’andarono nella direzione d’Iguana. Luana invece restò al suo posto, anzi, si mise in piedi, e si venne ad appoggiare nel muretto, accanto a me. La fortuna a volte aiuta anche i meno audaci. “Sei un tipo strano tu.” Disse Luana. “Strano?” “Si, hai un’aria misteriosa… come se la sapessi più lunga degli altri...” “In effetti, ho un segreto!” “Quale?” “Se è un segreto deve restare un segreto.” “Non me lo puoi dire?” “Non saprei…” “Dai dimmelo, non lo dirò a nessuno.” “Va beh, con te faccio un’eccezione, basta che mantieni il segreto.” “Parola.” “Ecco, vedi… io…” Feci un sorso di vino, le passai la bottiglia, tirai fuori il pacco di sigarette. “Io in realtà sono…” Le offrii una sigaretta, una la presi per me, feci accendere, e dopo aver tirato la prima boccata continuai: “Io sono un alieno venuto da un altro pianeta.” “Cosa?” “Un alieno, un extraterrestre.” Aggiunsi lasciandomi in un sorriso ironico. Luana scoppiò a ridere, e io dietro a lei. “Però mi stavi prendendo sul serio eh?!” dissi poi. “Ma dai, pensavo che tiravi fuori chissà quale storia, ma non che mi stessi giocando uno scherzo. Tieni, dai, bevi, extraterrestre.” Un goccio tira l’altro e la bottiglia finisce. “Che ne dici di andare a comprare un’altra bottiglia?” “Hai ancora soldi?” “Sai oggi ho fatto la mia prima suonata con la chitarra ed è andata magnificamente.” “Che tipo che sei.” L’idea fu mia. Dopo aver preso la bottiglia di vino andammo alla stazione ferroviaria di Termini dove c’inoltrammo, furtivi, in un vagone parcheggiato nei binari di sosta, ci sistemammo nella cabina più buia, tirammo le tende, e poi ci mettemmo comodi a bere il vino e a parlare a bassa voce. Pian piano l’aria si fece calda, io cominciai a toccarla, poi anche lei… poi vennero fuori i suoi seni e mi attaccai ai capezzoli… poi venne fuori il mio arnese e lei cominciò a masturbarlo, su e giù, giù e su… poi gli e lo condussi alla bocca ma lei non volle… quindi lei si sdraiò sulle poltrone, io le alzai la gonna, le abbassai le mutande, e glie lo ficcai dentro. Dopo aver raggiunto l’orgasmo ci attaccammo nuovamente alla bottiglia, fumando una nuova sigaretta. Quando il vino finì scopammo nuovamente, poi ci addormentammo.

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