lunedì 14 novembre 2011

Dal mio romanzo Se non avete niente da bere siete pregati di non suonare

Si chiamavano Gli Schizofrenia. Ora stavano passando un periodo di estrema spiritualità e transizione, e al momento erano considerati molto fuori di testa dagli altri. Invece io li trovavo interessanti, anche se non capivo mai dove volessero arrivare. Il mio amico Michele La Rosa invece aveva passato un periodo di follie fra la massa e la febbre del sabato sera. Ora si ritrovava nuovamente deluso, svuotato, depresso, e quindi era ritornato dal vecchio Giò. Gira e rigira Michele tornava sempre dal sottoscritto.
Quella sera avevamo avuto un bel po’ da bere. Angelo era arrivato al garage con una bottiglia di vino. Io ero già dentro con sei birre (meno una che avevo già finito). Poi arrivò Giorgio il gatto con qualche altra birra. Poi arrivò Nicola e Piero con due birre ciascuno. Più tardi arrivò Michele con un’altra bottiglia di vino, e con lui arrivarono Carmelo e Nicola D. con un’altra bottiglia di vino, da due litri. Così, dopo aver finito di suonare restammo ancora dentro la sala prove a bere e sparare cazzate e anche cose interessanti. I primi che se ne andarono furono i due fratelli, Piero e Nicola. Più tardi se ne andò anche Angelo, e poi fu la volta di Giorgio il gatto. Io e gli altri tre restammo ancora lì a finire l’ultimo mezzo litro di vino. Dopodiché ci demmo appuntamento alla Capannina, il mio bar affittato. Eravamo tutti e quattro molto brilli, ma c’eravamo e ce la sentivamo.
Michele ed io fummo i primi ad arrivare al bar. Mia moglie era seduta ad un tavolo con una ragazza e un ragazzo. Negli altri tavoli c’era altra gente. Perlopiù personaggi di mia conoscenza.
“Ah, ecco, quello è mio marito!” annunciò ai due mentre con Michele varcavamo la porta.
“Chi dei due?” domandò la ragazza.
“Lui!” disse Ivana indicandomi.
“Ah!” fece la ragazza e voltò lo sguardo verso Michele. Magari si sarebbe immaginato lui come marito di mia moglie, e non me, o magari che ne so… Tuttavia, dimostrò subito più interesse per Michele che per me, così a primo impatto.
“Vieni Giorgio, che ti presento una mia amica!” fece mia moglie.
“Prendo una birra e arrivo!” dissi continuando a camminare verso il bancone.
Ordinai una birra ad Alessandro. Anche Michele ordinò una birra. Dopo che Alessandro ci diede le birre feci un sorso e poi andai al tavolo di mia moglie. Michele restò al bancone.
“Salve!” feci.
“Questa è Barbara Ciletta, una mia compagna di quando andavo a scuola a Paternò!” fece Ivana indicandomi la ragazza. Barbara era una ragazza magra, capelli ondulati, un naso un po’ sporgente, ma sensuale, che vestiva tipo alla hippy.
Barbara si mise in piedi e mi porse la mano. Io le diedi la mia e le dissi: “Giò, per gli amici!”
“Questo è il suo ragazzo, Enzo!” disse mia moglie indicando il ragazzo.
Era un tipo con capelli lunghi a metà collo, scuro di carnagione, aveva diciotto anni, e anche lui era un musicista. Suonava la chitarra. Be’, non me ne fregava un cazzo, tranne che non si sarebbe mostrato interessante.
Intanto erano arrivati Nicola D. e Carmelo.
“Scusatemi.” Fece mia Moglie “Il dovere mi chiama!” e fece per dirigersi verso il bancone.
“Stai pure Ivana.” Le gridò Alessandro “Faccio io!”
Mia moglie si rimise al suo posto.
“Be’…” dissi ai due fidanzati “Vado un attimo al bancone… Sono con un paio di amici.”
Tornai al bancone. Anche Carmelo e Nicola avevano preso due birre.
“Ragazzi, andiamo a sederci al tavolo che vi presento agli amici di mia moglie!”
Andammo al tavolo, prendemmo due sedie da un altro tavolo vuoto, ci mettemmo a sedere, e poi feci le presentazioni dei miei amici. I folli.
Scambiammo quattro chiacchiere non molto interessanti. Poi Barbara ed Enzo dissero che dovevano andare, e un momento dopo ci salutarono.
“Be’, ci sentiamo Ivana!” disse Barbara a mia moglie. Ciao ciao, ciao ciao, e poi andarono a pagare alla cassa e se ne andarono, dandoci l’ultimo saluto. Ciao ciao, ciao ciao! Alzai solo la testa. In fin dei conti, così a primo impatto, non mi erano sembrati niente di interessante questi due… O perlomeno, Barbara si era dimostrata molto disponibile e scaltra, ma il suo ragazzo mi era sembrato un tipo che ha ancora diciotto anni e non sa ancora un fico della vita. La vita! La vita?! La vita? E delle cose che deve pagare uno che vuole mantenersi vivo, e delle morti che deve scampare. Io a diciotto anni mi sentivo il più forte di tutti. Poi ho imparato a relazionarmi con gli eventi, anche se comunque ho cercato sempre di darmi forza, nel male, nel godimento, e nella miseria. Là fuori ci sono stati sempre gli umani, la peggiore feccia, e io ho sempre fatto parte di loro. Anche dopo la fantasia dell’adolescenza loro sono sempre stati onnipresente, e ho dovuto digrignare i denti per fare valere la mia esistenza. È stata dura, davvero. Continua ad essere dura, davvero. Ma c’è una luce che può essere la morte o la vita eterna, e anche momentanea.
Più tardi, poiché eravamo rimasti tutti con qualche spicciolo, se non del tutto senza una lira, e avendo ancora voglia di bere in compagnia, anche se eravamo più che brilli, mi feci fare del credito da Alessandro, e presi una bottiglia di vino Porto.
Carmelo e Nicola erano quelli più sbronzi. Da lì a poco cominciarono a fare dei discorsi troppo intellettuali per i miei gusti, e ridevano troppo in continuazione. Michele invece si era azzittito del tutto. Si limitava ad annuire, sforzandosi di tanto a mostrare una specie di sorriso. Io invece mi stavo rompendo il cazzo, e cominciai a sentirmi sempre più costipato e annoiato. Quando la bottiglia di Porto finì, Michele decise di prenderne un’altra lui a credito. E così fece. Dopo quest’altra bottiglia fummo davvero tutti e quattro ubriachi. Carmelo e Nicola volarono via del tutto fra le psicosi delle loro menti. Michele aveva preso a fare dei suoi ragionamenti completamente folli, fra noi e qualche altro avventore che stava dentro al bar. Io avevo assunto l’espressione di uno che avrebbe potuto essere lì lì per andare a squarciare qualcuno. Appena ci mettemmo in piedi eravamo tutti e quattro barcollanti. Gli altri ci osservavano, alcuni disgustati, altri sorridenti. Carmelo e Nicola se ne andarono per Primi. Io ormai dovevo resistere fino alla chiusura, per portare via mia moglie con me. Michele restò lì decidendo di farmi compagnia.
“Che fa, ve la bevete un’altra birra?” disse Alessandro ad un certo punto, mentre Michele ed io ce ne stavamo appoggiati al bancone in silenzio.
“Quelli si bevono anche te!” gli fece mia moglie prima che qualcuno di noi due rispondesse.
Michele ed io, di conseguenza, facemmo una risata beffarda.
“Be’, un bel brandy ci starebbe meglio!” feci.
“Già!” aggiunse Michele “Un bel Brandy.”
Sandro disse a Ivana di farci due Brandy. Mia moglie ce li fece belli abbondanti. Poi Sandro disse a mia moglie di iniziare a pulire il bar. Noi facemmo un buon sorso di brandy. Anche Sandro si diede alle pulizie. Era orario di chiusura. Facemmo un altro sorso di brandy. Poi accendemmo due sigarette e facemmo un altro sorso, l’ultimo. Poi Sandro ce ne versò un altro po’ nei bicchieri. Con Michele ci guardammo in faccia, facemmo un sorriso beffardo, e poi vuotammo i bicchieri in un sorso.
Dopodiché chiusero il bar. Gli altri avventori se n’erano tutti andati. Sandro ci chiese se non avevamo mica bisogno di un passaggio. Un no glielo dissi io, un altro Michele La Rosa, e l’ultimo mia moglie. Poi Lui se ne andò con la sua macchina, Michele con la sua, ed io e mia moglie con la mia.
Arrivammo vicino casa. Poiché ero molto sbronzo parcheggiai la macchina dall’altra parte dei binari della Circum Etnea che dividono la strada grande dalla casa dove sto ancora oggi. Ci sono anche altre strade che portano a casa mia, ma sono molto strette e piene di macchine parcheggiate. Quella sera, come altre, decisi di parcheggiare di là, per non affrontare le strade strette. Quindi, ora ci toccava superare il primo muro che separa una strada dal passaggio delle littorine, e saltare il secondo che da proprio di fronte a casa mia.
Mia moglie non è mai stata brava, né a salirli, i muri, né a saltarli. Io, poiché ho abitato nel posto già da piccolo, ero più pratico. Da ragazzo mi facevo certe arrampicate volanti e saltate… Quella sera, con mia moglie che si lamentava del fatto di arrampicarsi e poi saltare il secondo muro, e io sbronzo, feci lo spaccone, e per dimostrarle che era un gioco da ragazzi mi lanciai in un precipitoso salto. Ma fu avventato. Inciampai il piede sul bordo del muro e arrivai dall’altra parte, sull’asfalto, direttamente con la faccia. Ovviamente mia moglie si ammazzò dalle risate. Mentre io imprecavo contro di lei, i muri, l’asfalto, e me stesso.

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